Intervista a Leonardo Ghiraldini

LeonardoGhiraldini

Come e quando ti sei avvicinato al mondo del rugby?
Ho iniziato a giocare a rugby all’età di 9 anni, dopo aver provato altri sport come il basket e il nuoto, ma tornavo a casa ancora con tanta (troppa!) energia in corpo. Un giorno un amico di scuola mi disse che sarebbe andato a giocare a rugby e, parlando con i miei genitori, mi sono fatto accompagnare all’allenamento; tra l’altro mio padre aveva giocato quand’era più giovane ed era pertanto uno sport che conosceva bene e gli era rimasto ancora nel cuore. Ricordo ancora bene il primo allenamento: da quel giorno non l’ho più abbandonato!

Da piccolo quali erano gli sport che praticavi? E’ stato un amore a prima vista quello con il rugby o ci sei arrivato per gradi?
Ero un bambino molto esuberante e l’attività sportiva mi è sempre piaciuta, praticata a scuola o con gli amici era indifferente, l’importante era muoversi, divertirsi e competere! Ho avuto la possibilità e la fortuna di provare molti sport, tra cui pattinaggio a rotelle, pallavolo, calcio, basket, nuoto. Tutte discipline bellissime, ma che per una cosa o per l’altra non mi soddisfacevano completamente. Dal primo allenamento di rugby però è scattato un qualcosa che si può sicuramente definire amore a prima vista. Si poteva correre all’aria aperta, scontrarsi, cadere, prendere il pallone con le mani, insomma potevo esprimere tutta la mia esuberanza giocando con altri ragazzi, niente di meglio.

Che ruolo hanno avuto i tuoi genitori, la tua famiglia nello spingerti a praticare sport e nell’incoraggiarti ad arrivare dove sei arrivato?
La famiglia è fondamentale e non smetterò mai di ringraziarli per quello che mi hanno e mi continuano a dare. Per fortuna lo sport è di casa e mio padre ha avuto molti riconoscimenti in varie discipline sportive e devo dire che questo mi ha sicuramente aiutato perché mi hanno lasciato libero di esprimermi e di decidere liberamente quello che volevo fare. Nello stesso tempo però sono sempre stati al mio fianco e disponibili nell’accompagnarmi ad allenamenti o partite.Ho la fortuna di avere una famiglia forte, molto unita e serena e questo clima mi ha sicuramente aiutato ad esprimermi nel modo migliore anche nello sport.

Quali sono stati i tuoi maestri di vita e di sport? Quali sono i tuoi modelli?
Non ho avuto un modello particolare,ma devo dire grazie senza ombra di dubbio a tutti gli allenatori che ho avuto, perché ognuno mi ha dato qualcosa e mi ha aiutato a migliorare come atleta e come persona. Mi ritengo molto fortunato perché dal primo giorno che ho iniziato a giocare ho avuto al mio fianco “educatori”(così vengono chiamati gli allenatori delle squadre di rugby giovanili) e allenatori con grandi competenze umane e tecniche. Con molti di loro sono ancora in contatto e ripeto, ognuno mi ha dato un qualcosa che ancora adesso mi aiuta nello svolgimento della mia attività. Poi, come ogni bambino appassionato di sport, avevo molti giocatori da cui prendevo ispirazionee che provavo ad emulare poi in allenamento e partita. Mi piaceva molto guardare le partite della prima squadra del Petrarca o in televisione e cercavo di prendere ad esempio le caratteristiche migliori di alcuni giocatori e riportarle poi in campo.

Mente, cuore e corpo: in che proporzione contano in quello che fai?
Potrei azzardare un 40 % mente, 40% cuore e 20% corpo. Se intendiamo ovviamente per testa il carattere, la determinazione e il coraggio e come cuore la passione, l’emozione e l’agonismo. Il rugby è uno sport di contatto fisico e richiede sempre di più grandi capacità tecniche e fisiche ma sono convinto che la testa e il cuore siano comunque qualità che fanno la differenza.

Cosa ti sentiresti di consigliare ai giovani (anche ai più piccoli) che si avvicinano oggi alla tua disciplina?
Di divertirsi! Prima di tutto devono divertirsi, lasciarsi andare ed esprimere le proprie qualità ed il proprio talento, ovviamente sempre all’interno delle regole di questo sport. Il lavoro duro paga sempre e l’unica strada per il successo è la costanza, l’impegno giornaliero e la voglia di confrontarsi e migliorarsi ogni giorno. Non esistono scorciatoie e forse ancora di più in questo sport rispetto ad altri si può arrivare a giocare a buon livello senza avere un talento per forza esagerato ma semplicemente allenandosi quotidianamente con grande professionalità e sacrificio. La base comunque è il divertimento condiviso e vi assicuro che al di là dei risultati,si creano anche dei legami e delle amicizie fantastiche. Porsi degli obbiettivi è importante e nessuno potrà mai fermarvi e bloccare le vostre ispirazioni e sogni: godetevi ogni giorno dentro e fuori dal campo da rugby e non permettete a nessuno di rovinare l’atmosfera e i valori che sono alla base di questa disciplina.

Quali sono i valori chiave per te nello sport che pratichi e che – a tuo avviso – possono essere usati dai più giovani nella vita di tutti i giorni e dai manager all’interno delle organizzazioni aziendali?
Sacrificio, lealtà, disciplina, rispetto, lavoro di squadra e ancora senso di appartenenza, costanza, disponibilità, umiltà. Questi sono solo alcuni dei valori fondamentali di questo sport che possono facilmente essere trasferibili nella vita di tutti i giorni e nello stesso modo ancheall’interno delle aziende che soprattutto in questo periodo storico richiedono e necessitano di valori sani, solidi e positivi.Concetti che coinvolgono tutti, indipendentemente che tu sia un giocatore in campo o un appassionato seduto nelle tribune dello stadio. Spesso il rugby viene definito una palestra della vita, anche perché nella squadra si intrecciano costantemente le dinamiche e le caratteristiche della psicologia collettiva e di quella individuale messa in essere in un ambiente competitivo e in costante divenire, che altro non è che ciò che viviamo quotidianamente che sia a livello individuale o a livello aziendale. In questa disciplina il concetto di squadra è enfatizzato notevolmente: i risultati in campo dipendono dal lavoro di ciascun elemento. Come in azienda, il risultato finale non può che essere conseguito senza che tutte le parti cooperino in manieracoordinata e sinergica. Ognuno si sente corresponsabile dei successi e degli insuccessi della squadra, ognuno dà il meglio di sé in un’ottica di pieno coinvolgimento, collaborazione e sostegno reciproco.

Come si dosa lo stress e si vince anche sotto pressione?
Lo stress fa parte di ogni atleta di qualsiasi disciplina e Il rugby è uno sport che richiede attenzione ai dettagli, concentrazione e presa di decisione in piccole frazioni di secondo. Ognuno ha il suo modo di prepararsi e vivere le tensioni prima e durante le partite. Sicuramente ora che ho acquisito molta più esperienza riesco a gestire e controllare meglio le emozioni, ma in ogni caso ho sempre cercato di viverla nel modo migliore perché quello che faccio è quello che amo e il mio obbiettivo è andare in campo e godermi ogni aspetto della partita o dell’allenamento. Ci sono momenti in cui a volte la pressione è tanta, soprattutto per quanto riguarda il mio ruolo che è senza dubbio di grande responsabilità, ma se sai di esserti preparato bene, di aver dato tutto te stesso per arrivare a quell’appuntamento pronto, la sicurezza aumenta e il margine di errore diminuisce in maniera notevole. Devi “semplicemente” trasportare la tua routine dell’allenamento in partita e, anzi, giocare è molto più stimolante che allenarsi quindi a volte può risultare anche più facile. Facendo così, si può costruire una mentalità vincente: è un lavoro tecnico, mentale e fisico, e ogni piccola cosa o aspetto che ti coinvolge direttamente, bisogna cercare di farla sempre nel migliore dei modi e al massimo delle tue capacità. Si inizierà così a riconoscere e capire le varie situazioni che possono accadere durante un incontro: il nostro sport richiede azione e anticipazione, bisogna saper leggere e interpretare ciò che cambia ed essere protagonisti coscienti delle varie dinamiche, anche quelle più imprevedibili e incerte. Come nella vita, anche nello sport è importante alzare costantemente l’asticella della concentrazione e dell’apprendimento: lo stress e la pressione diventeranno così delle molle e degli stimoli per andare oltre e superare eventuali ostacoli.

Quale è fino ad oggi il ricordo più bello della tua carriera agonistica? Che immagini hai davanti ai tuoi occhi? Perché è il ricordo più bello per te?
Non ho un ricordo particolare, ma tanti passaggi e piccoli traguardi raggiunti che mi hanno reso felice e tutt’ora ricordarli mi emoziona. Dal primo giorno di allenamento alla prima vittoria di un torneo molto importante quand’ero ancora piccolino, dall’esordio con la maglia della mia città, alla prima partita in nazionale. Ogni step della mia carriera ha avuto un’importanza speciale ed è stato fondamentale per la mia formazione. Forse ancora di più per me ha assunto valore la prima volta che ho giocato titolare in nazionale, perché fino ad allora non avevo avuto comunque veramente la possibilità di esprimermi e confrontarmi con l’alto livello: il 19 settembre 2007, in occasione del mondiale in Francia. Poi non posso non menzionare lo scudetto vinto da capitano nel 2008 con il Calvisano e le vittorie in nazionale, soprattutto nel 2013e in Scozia nel 2015. Mi pongo sempre degli obiettivi a breve e lungo termine e raggiungerli significa per me tanto, perché ti ripaga di tutti gli sforzi e sacrifici che fai ogni giorno; condividerli poi con un gruppo di persone che il più delle volte è un vero gruppo di amici è il massimo.

Se dovessi citare un avversario con il quale hai gareggiatoe per il quale ricordi un aneddoto particolare che descrive la sfida tra voi due chi ti viene in mente? Ci racconti questo aneddoto…
Da piccolo ho sempre ammirato Jonah Lomu per la sua impressionante forza fisica e velocità, con il pallone in mano faceva quello che voleva e nessuno riusciva a fermarlo. Da lì mi sono detto: vorrei giocarci contro e vedere se è veramente impossibile da placcare… e così parecchi anni dopo ho avuto la possibilità di sfidarlo e placcarlo! Sicuramente non era più l’atleta di una volta, complice anche una brutta malattia che l’ha tenuto fuori dai campi di gioco per molto tempo, però era un piccolo desiderio che mi portavo sempre dentro e che ho avuto la possibilità di realizzare. Da sempre sono molto competitivo e quindi cerco di studiare bene i miei diretti avversari per cercare di sfidarli e vincere la “battaglia” uno contro uno, che sia in allenamento o in partita. Le soddisfazioni più grandi e le sfide più intense si vivono in una mischia ordinata e per me è sempre stato un punto su cui volevo (e voglio tutt’ora ovviamente!) avere la meglio. E’ un lavoro di squadra molto particolare ed è necessario una grande coesione e affiatamento con chi sta affianco, ma nello stesso tempo devi vincere la sfida con chi hai di fronte e da lì non puoi scappare. Per questo mi piace mettere forza, tecnica, carattere, agonismo, fisicità riunite assieme in ogni singolo momento di gioco. Poi ovviamente la mischia ordinata è solo uno dei tanti momenti del match in cui bisogna performare: quindi, per rispondere al meglio alla domanda, devo dire tutti i tallonatori con cui ho giocato controo ho avuto come compagni di squadra, che cerco di battere in ogni momento della giornata, dalla palestra alla precisione del lancio in rimessa laterale, dal numero e qualità dei placcaggi al qualità del ballcarrier. Tutto questo per me diventa uno stimolo e una spinta motivazionale costante per migliorare.

C’è mai stato un momento nella tua carriera dove volevi smettere o c’è stato un episodio/ un motivo che ti aveva portato a dire basta? Se si…in quell’occasione cosa ti ha fatto reagire?
No, per fortuna non c’è mai stato un momento della mia carriera in cui volevo smettere, anche se ci sono stati momenti molto difficili per un motivo o per l’altro, causa infortuni o momenti e rapporti non particolarmente felici durante la stagione. Mi ha fatto sempre reagire la volontà di non farmi mai rovinare la passione da persone o eventi che inevitabilmente possono accedere. Ho sempre cercato di capire prima di tutto se avevo sbagliato io qualcosa e se si cosa, in modo da mettermi subito al lavoro per migliorare ogni aspetto che potesse influenzare la mia prestazione. Cerco sempre di fare tutto il possibile di quello che posso controllare in modo da avere maggiore capacità di controllo, anche in situazioni magari meno piacevoli. A volte non è facile e ci sono attimi della carriera e della vita di qualsiasi persona che ti sembra che le cose girino sempre per il verso sbagliato: proprio in questi momenti bisogna ripartire con il massimo della serenità e della determinazione possibile, facendo un passo alla volta, anche piccolo, ma è molto importante non lasciarsi andare. In questo, gli amici, la famiglia e l’ambiente che ti circonda possono aiutare molto.

3 pregi e 3 difetti del tuo carattere e come impattano sul tuo ruolo di atleta
Non mi è mai piaciuto parlare di me stesso, soprattutto per quanto riguarda i pregi! Penso che sarebbe il caso di chiederlo a chi mi conosce e a chi ha avuto modo di giocare con me. In ogni caso posso provare ad azzardare: onestà, tenacia, passione. Per quanto riguarda i difetti invece: sono tanto competitivo(voglio sempre sfidare qualcuno e batterlo in ogni cosa tanto che a volte è veramente ossessione), duro, vendicativo, o meglio, se mi viene fatto un torto su alcune cose che reputo importanti, è difficile riuscire a dimenticare.

Che opinione hai degli atleti che in momenti di difficoltà cercano delle “scorciatoie”( doping o altre forme) per  raggiungere con meno sforzi i propritraguardi?
Lo trovo assolutamente controproducente e non porta da nessuna parte, soprattutto nel lungo termine. Ritengo che gira e rigira, alla fine ognuno ha quello che si merita e le scorciatoie, nella vita come nello sport, non portano a niente. Magari ti fanno vincere una gara o una partita ma dopo nel lungo periodo le conseguenze saranno ben peggiori di quello che in realtà hai conquistato. Non si può raggiungere niente senza l’abnegazione e il duro lavoro uniti alla passione in quello che si svolge.Il vero successo nello sport come nella vita può essere raggiunto solo con la correttezza, il rispetto delle regole e l’onestà. E’ la strada che percorri per raggiungere il risultato che ti rende pronto per viverlo al meglio: solo così si ottiene il successo, le scorciatoie ti danno solo un’illusione, un sogno effimero che prima o poi si dimostrerà tale.

Quanto è difficile bilanciare la tua vita agonistica a quella privata? Bisogna essere campioni anche in questo?
Effettivamente ci sono periodi complicati in cui si sta via di casa per parecchio tempo, ancora di più ora che sono papà. Ho la fortuna di avere al mio fianco una compagna che, oltre ad essere molto partecipe e appassionata anche del mio lavoro, è sempre stata comprensiva, paziente e molto matura anche nell’affrontare alcuni momenti da sola. Il nostro rapporto è basato su una grande complicità, amicizia e rispetto: questo permette ad ognuno di lavorare e comunque seguire le proprie passioni e i propri sogni, condividendoli e cercando di vivere e godersi il tempo libero insieme, anche se a volte è comunque molto poco. Nello stesso tempo però, il rugby ci permette di passare momenti ed emozioni bellissime, di conoscere persone e luoghi in giro per il mondo che probabilmente non avremmo avuto la fortuna di vivere svolgendo un’altra attività. Lo sport d’alto livello chiede tanto, ma allo stesso tempo da tanto indietro, non solo a me, ma anche alla mia famiglia.

Quanto è importante per te avere davanti agli occhi degli obiettivi chiari?
Molto, ogni giorno inseguo degli obbiettivi a breve e lungo termine, inerenti alla mia disciplina, ma non solo. Sono convinto che la vita sia nelle nostre mani e anche se a volte nel proprio percorso si incontrano dei problemi e degli ostacoli, cerco sempre (nei limiti del possibile, ovviamente) di pormi ed avere un atteggiamento positivo, vedendoli come una sfida e un’opportunità di miglioramento.Penso siafondamentale anche essere stimolati, dall’ambiente in cui si lavora e interagisce, a porsi degli obiettivi comuni ed individuali allo stesso tempo.Come nel mio sport, in cui esiste un rapporto continuo fra individuo e gruppo: la squadra raggiunge gli obbiettivi solo se gli stessi passano anche attraverso la crescita dell’individuo. Ciascuna dimensione non può fare a meno dell’altra. In questo è fondamentale infatti il ruolo delle persone per stimolare, provocare, infondere energia e motivare i propri compagni o collaboratori, adoperandosi per liberare le potenzialità dei singoli. Avere degli obiettivi chiari ti permette di intraprendere la strada corretta e ogni qualvolta troviamo un ostacolo o dobbiamo cambiare per varie ragioni il nostro cammino, magari creandone anche uno nuovo, la direzione rimane sempre quella. Tutto quello che coinvolge la mia vita da atleta deve avere uno senso; non c’è cosa che non sopporto di piùche avere la sensazione di perdere del tempo, di fare qualcosa così tanto per fare. Ogni piccolo passo mi deve portare ad una meta prefissata: allora così riesco a mettere tutto me stesso, con entusiasmo e determinazione, anche se può voler dire faticare fino allo stremo o passare ore ad analizzare video.

Rimanendo in tema di obiettivi: quale è il prossimo?
Purtroppo con il club mi sono infortunato alla penultima partita di campionato e questo non mi ha permesso di giocare le fasi finali della stagione, quindi nel brevissimo termine sto cercando di recuperare nel miglior modo possibile e nello stesso tempo mi sto allenando per migliorare e potenziare la preparazione fisica, infortunio permettendo, per farmi trovare pronto al raduno pre mondiale. A settembre ci sarà il mondiale a “casa” mia, in Inghilterra, e l’obbiettivo dell’Italia è il passaggio ai quarti di finale, risultato mai raggiunto fino ad ora. Per un soffio non ci siamo arrivati nel 2007 in Francia e per evidente superiorità degli avversari, in particolare dell’Irlanda, nel 2011 in Nuova Zelanda. Nello stesso momento però sto cercando anche di completare la mia carriera universitaria valutando alcune opzioni di Master in economia e management da incastrare durante l’attività sportiva. Per il resto invece, cerco di essere il migliore papà possibile per mio figlio e questo sì che è il lavoro più difficile! Quasi dimenticavo, sto imparando a suonare la chitarra da autodidatta, ma in questo caso non mi pongo limiti di tempo!

Quale è la tua canzone preferita o quale potrebbe essere la colonna sonora dei tuoi successi?
Adoro la musica e ho due canzoni che porto nel cuore ma che non vorrei svelare perché sono legate alla mia sfera privata. Prima delle partite ascolto sempre una playlist che aggiorno di continuo, di musica di tutti i tipi;l’importante è che mi trasmetta qualcosa, che mi entri nel cuore. Tranne il metal, eccetto alcune singole canzoni, mi piace un po’ di tutto: jazz, fusion, elettronica, r&b, italiana, dance, blues,etc etc. Dopo la partita però, in caso di vittoria, le casse suonano solo musica da ballare!

Che ruolo ricopre l’impegno Sociale nella tua vita di atleta? Cosa può fare lo sport per aiutare i più bisognosi?
Penso sia importantissimo aiutare chi ne ha più bisogno: il sostegno è uno dei principi cardine del mio sport e non può certo rimanere così solo nel rettangolo di gioco. Noi atleti professionisti siamo fortunati e sotto certi aspetti possiamo considerarci dei privilegiati; non possiamo non ricordarci di chi ha problemi di qualsiasi tipo o di chi magari sta affrontando dei momenti difficili della propria vita. Lo sport può e deve aiutare molto i più bisognosi nei modi più svariati. Fortunatamente sto notando che c’è grandeattenzione a questo tema e sempre più persone si rendono disponibili ad organizzare e partecipare direttamente a qualsivoglia iniziativa o donazione a sostegno di chi è in difficoltà. Sappiamo anche però che tutto questo lavoro purtroppo non è mai abbastanza. Personalmente sono e sarò sempre a disposizione e più che felice di accogliere ogni seria richiesta di beneficenza.

Sei superstizioso? Hai dei riti scaramantici che fai prima di ogni competizione o degli oggetti portafortuna?
Non sono generalmente molto superstizioso, anche se come molti evito magari di aprire l’ombrello in casa o di spargere il sale nella tavola, soprattutto prima di una partita! Seguo comunque sempre una routine nelle giornate di preparazione agli incontri, fino ad arrivare ai momenti prima del match: dal cibo prima della partita, alle ore di sonno, dalla preparazione della borsa allo stretching mattutino. Non penso sia superstizione vera e propria, ma piuttosto un’abitudine: ci tengo a rispettare i vari passaggi che mi permettono di arrivare poi al fischio d’inizio sereno e preparato. Una cosa invece faccio sempre, nonostante non ami certo le fasciature: ho un braccialetto di cordino al polso che mi copro con del nastroe mi ha sempre accompagnato in questi anni.

Quanto ti alleni? Raccontaci la tua giornata tipo.
Generalmente, con la partita giocata di sabato, al club ci alleniamo lunedì e martedì dalla mattina al pomeriggio. Mercoledì è invece il giorno libero, dedicato al recupero o eventualmente a qualche attività di allenamento individuale specifico; il giovedì e il venerdì invece le attività sono concentrate tutte in mattinata. La domenica è di riposo o, per chi necessita, i fisioterapisti sono a disposizione. Se prendiamo in esame quindi i giorni più impegnativi come il lunedì o il martedì, generalmente si inizia alle 9 di mattina con una seduta di palestra personalizzata, seguita da una riunione video verso le 10; divisi a reparti poi si effettua il primo allenamento sul campo della durata di un’ora circa. Successivamente si pranza tutti insieme al club e alle 13:30 c’è la seconda riunione tecnica della giornata e poi l’allenamento in campo con i ranghi al completo. Generalmente la giornata finisce intorno alle 16, salvo ovviamente non ci si trattenga di più per farsi trattare dai massaggiatori o per altre esigenze fisiche particolari.

Ci racconti il tuo primo successo?
Il primo successo che ricordo con grande emozione è stata la vittoria con il Petrarca al Trofeo Topolino, un torneo di due giorni che possiamo paragonare ad un campionato italiano per bambini.Avevo circa 10 anni e abbiamo giocato la finale allo Stadio Monigo, la casa della Benetton Rugby, gremito di gente: per noi è stata un’emozione incredibile. Ricordo ancora la preparazione alla partita, ci sentivamo proprio dei professionisti, bellissimo!

Quanto è cambiato il mondo del rugby negli ultimi 10 anni? E’ una questione di tecniche? Di preparazione? Di maggiore competizione? Di fisico?
Lo sport in generale penso si sia evoluto molto negli ultimi anni. Il rugby stesso è uno sport in continua espansione: solo a livello regolamentare negli ultimi anni si è cercato di modificare alcuni aspetti per renderlo sempre più attraente e spettacolare, riducendo le fasi statiche e aumentando il tempo di gioco effettivo. Di pari passo c’è un’attenzione sempre più accurata alla tecnica individuale e collettiva e una continua crescita della fisicità e della dinamicità. In un’azione di pochissimi secondi possono essere richiesti contemporaneamente forza, velocità, lotta, cambi di direzione, accelerazione. A tutto ciò si deve aggiungere la specificità di ogni singolo ruolo. Ma non è tutto, perché forza, velocità e potenza, allenate sia sul campo che in palestra, devono essere sempre al servizio del gesto tecnico. Inoltre, data la grande cura dei dettagli e grande specializzazione fisica e tecnica, anche lo staff tecnico e la tecnologia stanno assumendo un ruolo sempre più importante nella squadra e contribuiscono al continuo miglioramento delle prestazioni. Il pubblico, gli sponsor, le tv cercano sempre di più lo spettacolo e il divertimento e grazie anche al diffondersi del professionismo in questo sport l’attenzione per ogni singolo dettaglio è diventata enorme: il rugby è una disciplina complessa e la performance non può che passare attraverso il continuo miglioramento delle qualità dei singoli contemporaneamente attraverso la qualità del gruppo espressa nelle varie situazioni del match. Tutto ciò, con il passare degli anni sta portando alla progressione delle varie tecniche di allenamento che di conseguenza porta anche ad un continua evoluzione dell’intensità e della qualità delle partite.

Cosa significa per te l’andare oltre il limite?
Significa non risparmiarsi mai e dare ogni giorno tutto se stesso per raggiungere gli obbiettivi. A livello sportivo ci sono momenti in cui magari sei provato fisicamente e mentalmente e ti sembra di essere arrivato al capolinea, ma non è così. Spesso in realtà il tuo corpo e la tua testa hanno ancora tante energie per andare avanti, bisogna solo crederci e provare. La sensazione di fatica si può gestire: ci vuole tanto allenamento, tenacia, determinazione, ma il vero limite ognuno di noi forse non lo sa. Questo per esempio è uno degli obbiettivi che mi pongo sempre prima di andare in campo a giocare una partita: mai uscire dal campo senza aver dato tutto, senza aver spinto il tuo corpo e la tua testa al massimo delle tue capacità o oltre. Solo così mi sento realmente soddisfatto. Andare oltre i propri limiti significa migliorarsi continuamente e costituisce una questione di cultura e metodo, ma deriva anche dalla disciplina dell’apprendimento e della conoscenza: sono certo che non tutti sappiamo realmente fino a quanto possiamo spingerci oltre e le reali capacità che abbiamo. Ovviamente è molto importante l’ambiente che ci circonda e gli stimoli che vengono dati, ma poi sarà responsabilità del singolo individuo crearsi la sua strada.

La sconfitta che significato ha per te? Può insegnare qualcosa?
Una peculiarità di questo sport consiste nel fatto che non ci si può nascondere: al fine di avere successo bisogna costantemente apprendere dagli errori e modificare l’azione in corso per acquisire una risposta concreta e immediata. Il campo e la partita offrono immediatamente una verifica e non si può pensare di evitare il problema o non risolvere una particolare situazione, perché poi può generare ulteriori conflitti e problematiche e soprattutto porterà al susseguirsi di sconfitte. In questo rettangolo di gioco, le grandi prestazioni non arrivano mai a caso, ma sono sempre una conseguenza del lavoro svolto e dell’efficacia con cui viene eseguito e applicato in partita. Certo, non è mai facile, ma qui sta proprio la bellezza di questo sport perché la maggior parte delle volte vince chi veramente se lo merita e pertanto come giocatore mi dovrò concentrare esclusivamente su quello che posso controllare io, su quelle aree in cui posso realmente dare un contributo. La sconfitta può servire e insegnare molto: per crescere non è necessario cadere, ma in alcuni casi questo può trasformarsi in una molla importante per ottenere successi futuri. Le sensazioni provate a fine partita, sotto la doccia e al risveglio del giorno dopo, si devono sempre portare dentro. Dev’essere un pensiero che ti accompagna costantemente e ti spinge a non tornare più a vivere quei momenti. Ovviamente gli errori ci stanno ed è normale che ci siano però è importante ragionare e confrontarsi per capire ciò che ha indotto in errore. Io personalmente odio perdere: facevo il musone da piccolo se perdevamo e non sono così cambiato ora. Spesso appena torno a casa dalla partita, in caso di sconfitta, cerco subito di visionarla in tv o al computer per capire cosa ho/abbiamo sbagliato. In ogni caso, ripeto, odio perdere anche se a volte può essere una molla importante di miglioramento.

Una Laurea in Economia Territoriale e Reti d’Imprese: un messaggio chiaro ai giovani? Si devono fare sacrifici ma si può far conciliare studio e sport ottenendo ottimi risultati da ambo le parti?
E’ stata dura ma alla fine sono veramente molto contento di avercela fatta. Ho avuto la fortuna di trovare materie e argomenti di mio interesse e ho sempre pensato che fare qualcosa di parallelo al rugby mi avrebbe comunque aiutato su tutti i fronti. A volte ti sembra di non avere tempo a disposizione per fare altro o comunque la stanchezza degli allenamenti ti porta piuttosto ad usare il tempo libero per riposare, ma con un po’ di organizzazione e voglia di fare si possono sviluppare anche altri interessi e pure con successo. La carriera di un giocatore di rugby non dura a vita, i contratti non possono certo essere paragonati al calcio o anche ad altri sport e ancora di più, non abbiamo neanche diritto alla pensione: ritengo che sia un dovere per le società e per chi sta a contatto con i giocatori, trovare modo e tempo per stimolarli e indirizzarli nel trovare delle strade parallele che possano comunque aiutare in un futuro. A me personalmente ha anche aiutato molto a staccare dalla routine quotidiana e concentrarmi e godermi ancora di più i momenti in cui invece dovevo giocare o allenarmi. Ho portato i libri in tutte le parti del mondo e a dire la verità sto facendo il possibile per trovare un master che mi permetta di completare il percorso di studi nella maniera migliore. Non è facile combinare le due cose, per niente, ci sono stati dei momenti molto impegnativi ma poi lo sforzo paga e le soddisfazioni sono doppie. Soprattutto quando si è più giovani bisogna fare lo sforzo di studiare o comunque trovare un’attività alternativa perché dopo sarà sempre più difficile. Al mondo d’oggi nessuno ti regala niente e se vuoi le cose le devi conquistare, a costo di rinunciare a qualche uscita con amici o al riposino quotidiano, e i sacrifici fatti saranno ricompensati.

Quanto pensi sia difficile per un campione di una disciplina rigorosa come la tua il diventare un ottimo allenatore e saper trasferire a giovani promettenti tutto quello che hai imparato e vissuto nella tua carriera?
Ogni tanto me lo chiedo anch’io e cerco pertanto di raffigurare le qualità dell’allenatore modello che vorresti avere al tuo fianco e credo si possano riassumere in:onestà, competenza, entusiasmo, determinazione e carisma. Senza dubbio alcune peculiarità le puoi sviluppare con il tempo e con l’esperienza, ma è anche vero che spesso sono già intrinseche nella persona. A me piacerebbe molto rimanere in questo ambiente una volta conclusa la carriera da giocatore; non so ancora se come allenatore o eventuale dirigente, coniugando magari i miei studi alla passione per questo sport. Spero di avere ancora altri anni di alto livello davanti a me, ma la possibilità in un futuro di trasferire il bagaglio di esperienza accumulato negli anni ad altri atleti che vivono con entusiasmo la mia stessa passione è una opportunità che mi affascina. Ritengo di fondamentale importanza la presenza di tecnici preparati, che sappiano trasmettere ed insegnare ai più giovani non solo aspetti tecnici e specifici, ma anche che riescano a costruire dei ragazzi con una mentalità forte e vincente. Mai come in questo momento c’è bisogno di persone competenti e con grande passione: talenti ce ne sono ma solo con il talento non si va da nessuna parte e allora c’è bisogno di manager, allenatori che riescano a far veramente crescere i giocatori, che capiscano le qualità o le lacune di ogni singolo individuo all’interno della squadra e che riescano ad inserirle in un sistema squadra vincente. Giocatori e allenatori sono due figure diverse e sotto certi aspetti difficili da paragonare, ma molti giocatori hanno le capacità comunque di essere un esempio per i compagni, capendo il potenziale di ognuno, incoraggiando, spiegando ed ispirando chi gli sta intorno a dare sempre il massimo e spingersi oltre i loro limiti: caratteristiche e doti che possono aiutare ad intraprendere con successo la strada da allenatore.

Quali sono i tuoi prossimi progetti legati al mondo del rugby? Ci puoi dare delle anticipazioni?
Ho un altro anno di contratto con il Leicester Tigers e ora sinceramente sto solo pensando a fare bene con il club e prepararmi al meglio anche per la Coppa Del Mondo. Il mio desiderio è continuare a giocare ad alto livello fino a che mi diverto e il mio corpo tiene botta!

In Italia si parla sempre e troppo di calcio e pochissimo di altri sport considerati “minori”. All’estero è così? In Inghilterra cosa vedi di diverso?
Purtroppo la cultura sportiva in Italia non è molto sviluppata come in altri paesi. Se prendiamo solo l’esempio delle scuole e delle ore destinate all’educazione fisica, notiamo subito che c’è qualcosa che non va. La nostra struttura scolastica non si può certo paragonare ai college inglesi, australiani o neozelandesi, ma sono convinto che si possa comunque fare e praticare molto più sport di quello che in realtà si fa ora. Il calcio in Italia è diventato quasi un’ossessione: in qualsiasi trasmissione alla tv, in ogni giornale o rivista ci sono riferimenti al calcio e purtroppo, però, si parla sempre di più di “gossip” che in realtà di sport vero e proprio. Il calcio è uno sport fantastico, il più giocato e conosciuto al mondo ma non penso che quello che si è visto e vissuto in questi ultimi anni sia il modo più giusto per divulgare il vero spirito dello sport. Ho avuto la possibilità di vedere e toccare con mano tantissime realtà in giro per il mondo, dove lo sport viene veramente vissuto a 360°. In Inghilterra, per esempio, il calcio ha comunque una certa importanza, ma vedo che non c’è la stessa maniacalità che si vive in Italia. E torniamo al discorso della cultura sportiva, fondamentale per far crescere e divulgare lo sport in tutti i suoi aspetti e sfumature: iniziamo a diffondere il verbo Sport sin dai più piccoli e aiutiamoli e sosteniamoli a percorrere le proprie strade e le proprie passioni. Rispetto, genuinità, semplicità, lealtà e educazione sono requisiti fondamentali e imprescindibili per qualsiasi sportivo di qualsiasi disciplina, indipendentemente che tu sia nel rettangolo di gioco, a casa sul divano o nelle tribune degli spalti.