Michela Cerruti: una vita a tutto gas

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Che non avrebbe avuto vita facile, lo sapeva fin dall’inizio. Ma con un carattere volitivo e determinato come il suo, Michela Cerruti ci ha voluto provare ugualmente. E, alla fine, i risultati le hanno dato ragione.

Classe 1987, laureata in filosofia, l’atleta nata a Roma ma milanese di adozione, è oggi la migliore pilota italiana, oltre ad essere una delle principali specialiste mondiali delle quattro ruote.

Tutto è iniziato al compimento della maggiore età: fino ad allora Michela si era infatti cimentata in diversi sport sempre con ottimi risultati – dalla corsa campestre, disciplina in cui aveva sempre vinto tutte le gare “tranne una, e mi brucia ancora quando la ricordo…”, allo sci che ha praticato a livello agonistico per nove anni.

Ma i geni non mentono: erano i motori che l’avevano sempre affascinata. Figlia di Aldo Cerruti, campione automobilistico italiano degli anni ’60 e ’70 soprannominato Baronio, già a 14 anni Michela dimostra delle tendenze particolarmente folli che la portavano a fare a gara a chi “piegava” di più. E, una volta presa la patente, la storia si ripete; anzi, la macchina diventa persino il luogo di rifugio per non pensare a nulla oppure guidare per stare bene e riflettere. Segue un corso di guida sicura tenuto da Mario Ferraris, pilota e amico di famiglia che, seppur con fatica, convince papà Aldo a farla correre in pista. Da lì alle prime gare il passo è breve; e ancora più breve quello che la separa dalle prime prestigiose vittorie. “Sono infinitamente grata ai miei genitori che mi ha permesso di praticare molti sport per scegliere poi tanto in quel mondo, quanto nella vita, quello che mi piace di più. Mi hanno spronato nei momenti di svogliatezza, consolata in caso di sconfitta, sgridata se non avevo dato il massimo, e moderatamente esaltata se vittoriosa: il loro supporto è stato insostituibile e indispensabile in ogni momento. La mia storia è stata determinata dal destino: nessuno mi ha mai messa su un go-kart, ma alla fine i motori sono diventati parte integrante della mia quotidianità.”

Per riuscire in un modo così chiuso ed elitario, e troppo spesso ostile verso le donne, Michela ha trovato la giusta combinazione tra mente, cuore e corpo. La propria forza mentale è senza dubbio la chiave del successo in questa disciplina nella quale si deve continuamente attaccare, difendersi,controllare i parametri, comunicare in modo diretto e sintetico con il proprio team, guidare al limite e combattere; il tutto a 280 km/h in qualsiasi condizione meteo e in qualsiasi momento della giornata. Segue poi il cuore, un contenitore di emozioni strabordanti che accompagnano il pilota durante tutta la gara, ma che devono esplodere solo ed esclusivamente dopo la bandiera a scacchi e non precludere così l’andamento della corsa; e, infine, il corpo: le condizioni vissute in gara sono estreme – alte temperature, forze elevate, battiti cardiaci che talvolta toccano i 190 bpm e circa 65 gradi all’interno dell’abitacolo: è innegabile che la preparazione fisica, l’alimentazione e l’idratazione siano molto importanti per gestire al meglio la gara.

E proprio per dimostrare che non è una persona avulsa dal sistema automobilistico, Michela ha una grande forza per accettare e imparare qualcosa di buono anche dalle sconfitte: “Momenti bui ne ho avuti molti e probabilmente ce ne saranno ancora. La sconfitta brucia molto perché ti fa sentire vulnerabile. Ma anche se mi sono sentita senza forze, in quelle situazioni ho sempre trovato la freddezza necessaria per ricordarmi la mia prima volta su una macchina da corsa, il motivo per cui ho iniziato e le emozioni che mi hanno reso dipendente da questo sport. In tutto ciò ho trovato la voglia di analizzare il mio temporaneo black out per ripartire subito dopo ancora meglio di prima.” E nonostante a certi livelli possa capitare che l’attività sportiva metta in secondo piano quella privata, quest’ultima è fondamentale per staccare la spina e rigenerarsi: amore, amicizie e famiglia completano infatti la felicità derivante dalle soddisfazioni sportive, senza le quali la campionessa si sentirebbe persa.

Ma è indubbio che, seppure tenace, determinata e volitiva, Michela abbia dovuto affrontare alcune difficoltà per imporsi nel mondo dell’automobilismo. “Il mio è uno sport prettamente maschile e sempre lo sarà. La mentalità femminile si discosta molto dal pericolo e dall’adrenalina di cui invece si nutre questa disciplina; ed è quindi normale che poche donne si avvicinino all’automobilismo e ancora meno ne facciano poi la ragione di vita. Ma anche se credo che sia una cosa normale e naturale che difficilmente si riuscirà a cambiare, sono certa che il duro lavoro a la costanza alla fine paghino: e facendo parlare i numeri ed andando veloci come se non più degli uomini, riusciremo a farci accettare e a guadagnarci rispetto e fiducia da parte di avversari e compagni di squadra.”

A tal proposito è fondamentale i suo ingresso nella WIMC – FIA Women in MotorsportCommission: questa commissione ha il compito di valorizzare la figura della donna in ambito automobilistico e di creare opportunità per i talenti più giovani. E Michela ha già pronti progetti concreti attraverso i quali dare un forte contributo a questo sport.

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